Peppino Impastato considerava la bellezza come ciò che salva dalla paura e dal silenzio. Attraverso la bellezza dell’arte non solo il sentimento trova espressione ma dà la possibilità di educare alla gentilezza e all’empatia.

Alcune opere hanno un valore universale nel senso che si rendono capaci di contenere al contempo l’animo dell’artista e dello spettatore.

L’Urlo di Munch diventa manifesto non solo dell’arte espressionista ma del grido di sofferenza di un’umanità intera. Assorbiti dall’opera possiamo depositare il nostro vissuto in uno spazio/tempo definito, personale e collettivo allo stesso momento. Ciò che riguarda il singolo diventerà di ognuno: in questo ritroviamo il potere comunicativo del colore e delle forme.

L’arte in ogni sua forma espressiva, diventa strumento emotivo utile a elaborare vissuti personali.

Dall’Edipo Re all’Antigone, nelle dionisie, si offriva allo spettatore la possibilità di liberarsi attraverso l’altro. Dal V sec. a.C. l’antica Grecia da forma a un processo precursore della psicoanalisi.

La tragedia greca offre esempi di cosa la narrazione e l’ascolto possano determinare nell’individuo in termini di purificazione. Entrare in contatto col vissuto dell’altro aiuta un’elaborazione del proprio sentire. Attraverso meccanismi di spostamento e proiezione è possibile “masticare” ciò che internamente viene reputato indigeribile.

Seguendo un percorso simile, all’interno di gruppi psicoterapeutici, l’altro, il gruppo nella sua interezza, si fa contenitore e specchio allo stesso tempo. Si costruisce una nuova possibilità.

Allo stesso modo Euripide, Eschilo e Sofocle attraverso le loro opere raccontano l’emotività di ognuno, offrendo allo spettatore la possibilità di metabolizzare il non detto.

Tale processo ricorda l’opera di reverie di cui parla Bion, ossia la funzione materna di accogliere e comprendere la realtà, “masticarla” affinché possa essere digeribile al figlio.

Un’opera d’amore incondizionato verso ciò che il mondo dell’altro porta, un rendersi strumento di elaborazione e di nuova interpretazione del vissuto.

Nella storia dell’essere umano il principio di reverie conferma la sua importanza e allo stesso tempo può prendere forme nuove e più attuali attraverso l’arte.

Potremmo parlare di una funzione “terapeutica” che contiene, elabora e guarisce, attraverso la possibilità di trasformare il dolore in bellezza.

La narrazione di sé nella stanza della terapia costituisce di per sé una opera d’arte unica e irripetibile. Attraverso un percorso fatto di snodi, scelte, regressioni, consapevolezze e accettazioni, si dipana la matassa interna prendendo una forma, più libera e reale. Questo è il miracolo che l’ascolto può fare: concedere all’altro la possibilità di essere se stesso.

Un quadro prende forma aggiungendo linee, correzioni, colori e sfumature. Così è per l’essere umano in trasformazione.

Un giorno guardando l’opera se ne osserva una luce nuova, unica, speciale nel suo modo di brillare. A quel punto l’opera è pronta a mostrarsi a se stessa.

Floriana Terranova