Se “comunicare” significa “mettere in comune”, ci siamo mai chiesti di che natura sono gli ingredienti che mettiamo in comune con gli altri dialogando?
Ci soffermiamo sulle parole più nutrienti che possiamo usare nell’incontro con l’altro?
Valutiamo con consapevolezza i contenuti indigesti che ci presentano?
Come li metabolizziamo? Che effetto hanno sul nostro organismo?
Quanto le parole vengono utilizzate realmente per cercare un punto di incontro? Quanta consapevolezza abbiamo in quella terra di mezzo che ci unisce e separa dall’altro?
In che modo le parole e l’uso che ne facciamo possono migliorare il nostro dialogo interno? Come possono migliorare il contatto con gli altri?
La relazione di per sè costituisce fin dall’inizio dell’esistenza una fonte di nutrimento. Questo nutrimento non è solo biologico, ma anche e soprattutto affettivo.
Ciò pone le basi allo sviluppo di una struttura di personalità sana ed equilibrata.
Fondamentale sarà una relazione di qualità, caratterizzata da una buona comunicazione.
Una relazione sana determina una sana comunicazione. Una sana comunicazione determina una sana relazione.
Rosenberg (2003) parlando di comunicazione non violenta sottolinea come, per una sana relazione, le parole debbano essere “finestre” e non muri.
Affinché questo avvenga occorre prestare una cura particolare al linguaggio ma anche e sopratutto all’ascolto. Per un’occasione non solo di incontro, ma anche di crescita personale. Sarà utile anche per il rapporto stesso.
Il concetto di non violenza, sottolinea quanto sia necessario prendere in considerazione non solo i bisogni e le caratteristiche personali. È anche necessario considerare quelle del contesto in cui la comunicazione avviene, nonché i bisogni e le caratteristiche dell’altro.
Rosenberg sostiene che l’alternativa a una comunicazione pretenziosa o anassertiva, potrà essere realizzata attraverso 4 dimensioni: osservazione, sentimenti, bisogni, richieste.
La prima dimensione si riferisce alla capacità di porsi in un punto di osservazione neutro. Questo aiuta a comprendere in tutti i suoi dettagli l’esperienza, senza giudizio o valutazioni.
La seconda dimensione fa riferimento alla descrizione di come ci sentiamo rispetto a quanto osserviamo, quali emozioni proviamo.
In base a ciò che proviamo il passaggio successivo è chiedersi quali bisogni ne derivano. Farne, in ultima analisi, una richiesta chiara e specifica. Bisogna utilizzare un linguaggio positivo. Facendo attenzione a non trasformarla in pretesa.
Vivere l’incontro con l’altro come un modo per ascoltare i bisogni propri e altrui, diventa un’occasione di crescita. Questo accade anche nella conflittualità.
Essendo la relazione (e soprattutto una relazione in salute) necessaria per un nutrimento reciproco, nell’opera di Rosenberg si coglie appieno il senso profondo di un bisogno di empatia. L’ascolto reciproco è una prerogativa fondamentale per i rapporti umani.
In un mondo in cui si fa a gara a chi urla di più questa potrebbe essere la vera rivoluzione.
Bibliografia
Rosenberg M., (2003), “Le parole sono finestre [oppure muri]”, Esserci edizioni, Reggio Emilia
Floriana Terranova



