La prossemica studia le distanze che le persone, in maniera automatica, pongono tra sé e gli altri comunicando. Il termine viene coniato dall’antropologo Hall il quale individua 4 distanze specifiche:
- la distanza intima che va dal contatto a massimo 45 cm;
- la distanza personale che va da 45 cm fino a 1.2 m;
- la distanza sociale che va da 1.2 m a 3.6 m;
- la distanza pubblica che va da 3.6 m a 7.6 m.
Nella distanza intima l’accesso è possibile a persone di cui ci fidiamo cecamente. Può prevedere anche un contatto fisico come l’abbraccio. E’ una zona riservata a rapporti intimi, molto stretti.
L’accesso alla zona personale è verso persone, amici e familiari. Ci fidiamo di loro. Li conosciamo. Con loro è possibile stabilire un contatto.
Nella distanza sociale troviamo soprattutto rapporti formali, con persone che potremmo conoscere o meno. E’ la distanza che si può stabilire entrando in un negozio, alla fermata di un bus, camminando per strada.
Infine la distanza pubblica si presenta nei grandi eventi. Si manifesta quando c’è una platea. Si verifica quando il rapporto non è tra due individui ma prevede dei gruppi. Spesso include interazioni con persone estranee.
E’ interessante notare come l’ampiezza della distanza sociale indicata dalla prossemica fu la stessa raccomandata dalle strategie di contenimento di diffusione del coronavirus.
Sulla base di quanto detto, viene da pensare. Al di là delle normative da decreto, parallelamente a una informazione specifica, il nostro intuito, le nostre cellule e la memoria collettiva possono suggerirci un comportamento protettivo a prescindere.
Qualcosa nel nostro dna, in un inconscio collettivo, in esperienze mnestiche personali, ci mette in guardia. Per la sopravvivenza psicofisica è necessario saper gestire la “giusta distanza” a seconda delle peculiarità del momento e della relazione.
Sappiamo ancora molto poco di ciò che ci guida, salva, orienta.
Floriana Terranova



