Il vocabolario Treccani così la definisce: “Condizione esistenziale di appartenenza e di isolamento propria di chi è nato in un’isola. ”
Alzi la mano chi, essendosi trovato su un’isola, non abbia pensato alla vastità del mare come una coperta. Il mare è come uno scudo. È come una bolla di sapone che separa dal resto del mondo, da ciò che ferisce, da ciò che contamina.
Essere circondati dal mare svolge una duplice funzione: protegge e isola.
E in alcuni casi queste due condizioni convergono verso la stessa direzione animata da un istinto di conservazione.
L’isolitudine quindi si trasforma in metafora. È un’allusione a qualcosa che appartiene a un istinto antico dell’uomo. Isolarsi per proteggersi ma aggiungerei anche isolarsi per ritrovarsi.
Nella condizione di isolamento, il tempo e lo spazio condiviso con se stessi, costituisce esperienza preziosa in cui ascoltarsi e vedersi.
Non uno specchio narcisistico in cui perdersi nell’adulazione di sé, bensì uno spazio sacro in cui fare esperienza profonda di sé, delle parti in luce e delle parti in ombra, nel tentativo di farle dialogare.
Ma l’esperienza di incontrare se stessi talvolta è talmente intensa da risultare insopportabile. Da qui un istinto di fuga.
Ma come può l’essenza profonda che ci costituisce determinare il bisogno di fuga da sé? Sembrerebbe un paradosso.
Ciò che nel profondo risiede e determina le sfumature dell’animo umano può apparire estraneo all’animo umano stesso?
In che modo la discesa nel profondo può configurarsi come via naturale alla ricerca/scoperta di sé?
Sappiamo che per potersi individuare e avere un senso di sé, è necessario differenziarsi. Un senso di appartenenza alla propria essenza profonda richiede di staccarsi.
Ma da chi o da cosa?
Dal sistema familiare ad esempio. Pensiamo alla maturazione dell’individuo come ad un processo di separazione dal sistema familiare attraverso uno svincolo evolutivo che differenzia ma, allo stesso tempo, fa sentire ancora parte dello stesso nucleo.
Ma anche dal pensiero altrui. Pensando all’atto del differenziarsi, siamo portati a dare importanza al pensiero critico, libero e divergente che possa creare confronto con il contesto in cui viviamo col fine ultimo di una crescita reciproca.
Ma ciò a cui non siamo abituati è pensare ad un processo di differenziazione con chi siamo stati fino a un certo punto della nostra vita.
Differenziarsi da sé significa lasciar spazio al nuovo. Bisogna riconoscere i comportamenti vetusti e dannosi. È importante incoraggiare e sostenere il cambiamento. Dobbiamo separarci da parti di noi che hanno svolto ed esaurito la propria funzione. Ci vuole il coraggio di abdicare a se stessi e ricostruirsi. Senza sentirsi perduti.
L’isolitudine può favorire la vista di tale processo permettendo di trascorrere tempo al cospetto di sé.
Nel vano tentativo di fuga da sé, il giorno in cui si comprende l’inutilità del tentativo stesso, il corpo e la mente si rilassano. Si proclama apertura al cambiamento e ad una nuova nascita di sé.
Lì si apre una possibilità: essere genitori di se stessi.
Floriana Terranova




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