Perché quando una personalità conosciuta muore le coscienze vengono scosse?
Perché ci si ritrova, chi più chi meno, coinvolti in un cordoglio comunitario?
Perché ci si schiera da una parte e dall’altra come spettatori di diatribe internazionali?
Perché si difendono cause a nome degli altri senza alcuna apparente connessione con la vita personale?
Le ragioni di questi comportamenti sono molteplici. Dal rivivere dolori personali allo spettro che le cose non saranno più come prima. Dal processo di identificazione proiettiva al bisogno di collocare in contesti pubblici vissuti personali inconsapevoli. Dalla necessità di identificazione al bisogno di riconoscimento…e ancora potremmo continuare all’infinito, scandagliando tutte le ferite che ogni essere umano porta con sè ma che ancora non affronta una volta per tutte.
Di base, ciò che spesso accomuna questi episodi è che le persone spostano parti di sè sugli attori pubblici della scena. Tentano di trattare una materia prima, quella delle emozioni, senza però rivendicare paternità alcuna.
Lavoriamo, disquisiamo, analizziamo i mondi altrui per schermarci da qualcosa di personale che ancora non si è pronti ad affrontare.
L’essere umano spesso è così e le relazioni giochi di specchi che si riflettono all’infinito.
E quando si arriva al quid e le maschere cadono, lì può esserci il reale punto di svolta. Si raggiunge questo attraverso una maggiore consapevolezza e accettazione di sè. Sono i momenti in cui le cose cambiano dentro o intorno a noi. Sono come terremoti con differenti magnitudo che agitano e scuotono… talvolta cullano, altre ci fanno precipitare violentemente.
In ogni caso momenti preziosi.
Ci colgono, più o meno all’improvviso, ma rimangono occasioni favorevoli di un reale cambiamento.
La posta in gioco è un senso di sè più ampio e saldo.
Si sa, la ricostruzione dopo i terremoti richiede tempo e tenacia. Soprattutto, è fondamentale ricostruire in un modo diverso dal precedente.
Come d’altronde si sà…i cambiamenti non chiedono permesso, sono imbucati alle feste, talvolta la guastano… talvolta fanno uscire dal torpore dell’attesa della torta di mezzanotte.
Crediamo che ci colgano all’improvviso. Ma sono fiumi lenti. Partono da lontano. Scivolano giù dalle sorgenti. Per alcuni tratti scorrono silenziosi nel sottosuolo. Ma poi inevitabilmente emergono alla luce del sole. Infine si liberano nel mare infinito.
Non vale la pena allora saperli accogliere quando li intravediamo all’orizzonte?
Non significa questo saper stare nel tempo e al mondo?
Floriana Terranova




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