Felicità fa rima con collettività
E’ sempre emozionante leggere un testo e trovare riferimenti a letture personali precedenti.
Quando questo accade ho la sensazione di ritrovare e di ritrovarmi…come se tutto si chiudesse dentro un cerchio, un cerchio aperto a far comprendere tutto nella sfumatura di ogni cosa, attraverso un pensiero che non ha tempo nella misura in cui, la sua profonda verità, lo rende attuale e attualizzabile in ogni contesto storico.
E così mi è accaduto con Frédéric Lenoir[1], una lettura che consiglio “La felicità”.
La consiglio per due motivi. Il primo è perché parlare di felicità senza essere scontati richiede un’attitudine non comune, il secondo è il richiamo al passato che l’autore fa e verso cui siamo profondi debitori e non sempre riconoscenti come forse dovremmo.
Insito nella natura umana, il desiderio di conoscere e capire ha determinato, nel corso dei tempi, la reiterazione della domanda: cosa è la felicità e soprattutto come essere felici?
Negli ultimi decenni, la psicologia comincia ad ampliare la propria visione allargando i campi di osservazione e concentrandosi non solo sulla psicopatologia ma anche su una dimensione di benessere psicofisico (una sorta di Psicologia della Felicità) in cui poter osservare quali comportamenti, abitudini, pensieri, sentimenti, le persone “felici” realizzano.
La letteratura scientifica offre diversi spunti che spaziano dai lavori di M. Seligman a M. Fordyce, da M. Argyle a E. Diener, mettendo in evidenza l’importanza di concentrarsi su ciò che l’individuo può coltivare affinché l’idea di felicità non rimanga una costruzione mentale ma possa piuttosto trovare fondamenta nella propria quotidianità.
Denominatore comune negli studi di ogni tempo è la dimensione sociale: non si può slegare il concetto di felicità dalla relazione.
In altri termini per poter essere felici è necessario non solo osservare la relazione ma lavorare ad essa. Non solo nell’età evolutiva ma anche in tempi più attuali, nella quotidianità di ogni persona, non solo ne “..lì e allora” ma anche e soprattutto nel “…qui ed ora”.
La polis greca dimostra come fin dai tempi più remoti l’uomo comprende che per poter vivere in armonia è necessaria una partecipazione, un confronto, un’attivazione della comunità e del singolo al suo interno. La psicologia ci spiega come e quanto la dimensione relazionale condizioni lo sviluppo della personalità determinando la qualità di vita stessa. La relazione, in particolare una sana relazione primaria, apre la possibilità ad uno sviluppo armonioso che in età adulta potrà svolgere una funzione specifica all’interno dei sistemi di appartenenza. Non si può pensare di costruire benessere senza viverlo e spenderlo in una dimensione relazionale.
Pensare a un benessere esclusivamente egoico crea uno scollamento con la realtà e con le peculiarità della natura umana. Siamo e rimaniamo animali sociali. Attraverso la relazione nasciamo e cresciamo. Nella relazione troviamo e diamo nutrimento.
Nell’ottica di una crescita personale e collettiva ciò rimane conditio sine qua non per qualunque stato di felicità.
[1] Lenoir F., (2019), “La felicità. Un viaggio filosofico”, Ed. Bompiani Milano
Articolo scritto da Floriana Terranova


