Lo spazio precedente il divenire è ciò che chiamiamo attesa.
Questa parola che viene dal latino significa ad-tendere, ossia volgersi verso.
Perché volgersi verso impegna corpo e mente innanzitutto in un lavoro di ascolto e armonizzazione.
In questa parola si racchiudono mondi infiniti. Questi mondi includono il divenire, il progetto e il desiderio. Racchiudono anche la paura e l’entusiasmo. C’è la delusione postuma e il ricominciare poi.
Ma può essere quello dell’attesa veramente il tempo del divenire?
Riusciamo a concedere spazio al tempo e tempo allo spazio?
Riusciamo a contenere il bisogno spasmodico di sfuggire? Questo riguarda ciò che ancora non si definisce e richiede tempo di ascolto e verifica.
C’è sufficiente generosità d’animo per accogliere il tempo dell’attesa? Queste masse informi e scomode aspettano di essere forgiate nella nostra vita psichica.
Troppo abituati a raccogliere vasetti di marmellata dall’albero ci dimentichiamo la preziosità e il valore del processo trasformativo. Dimentichiamo anche la fatica insita in ogni cosa vera e importante.
Vivere l’attesa significa fare come i rabdomanti alla ricerca dell’acqua. Muoversi nel mondo con un ramo di ulivo tra le mani. Cercare ciò che ancora non vediamo, con fiducia e curiosità. Farlo con pazienza e concentrazione.
Quest’antica arte spiega quanto ciò che non si vede possa comunque scorrere liberamente a nostra insaputa.
E quando sentiamo l’acqua con determinazione lì, proprio lì, in quel punto preciso, lì la estraiamo.
E quel giorno si riscrive la propria storia.
Floriana Terranova




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